L’uomo che sussurrava alla Merkel
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Giuseppe Conte, l’uomo dalle molte facce e dalle mille risorse, è stato definito ieri da Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo: “Uno dei migliori esempi di lealtà in Europa“. “E’ sempre difficile difendere gli interessi nazionali e trovare soluzioni europee ma su di lui posso dire soltanto cose positive”, ha detto ancora Tusk, in una conferenza stampa a Biarritz prima dell’inizio del vertice del G7. Quindi il premier uscente si sarebbe distinto per essere un europeista sempre più tenace, peccato avesse inaugurato la sua odissea nello spazio come un fiero populista, a capo di un governo populista e sovranista, convinto sostenitore di un programma populista.
Nulla di nuovo sotto il sole, anche perché a gennaio al World Economic Forum a Davos, l’avvocato del popolo aveva sussurrato le sue perplessità alle orecchie di zia Angela, chiedendole consigli su come battere l’ascesa inarrestabile di Salvini e prostrandosi ai suoi sentimenti europeisti. Conte infatti le diceva: “Angela non ti preoccupare”, mentre derideva i porti chiusi di Salvini.
Alla fine, come nel miglior romanzo d’appendice, il povero orfanello politico, mai visto mai conosciuto, è diventato prima Presidente del Consiglio della Repubblica italiana, poi forse diventerà capo politico del M5S, poi forse rinnovato premier di un nuovo ribaltone, che porterà al governo i trombati delle ultime europee, ma sempre di più un Robin Hood al contrario, che ruba le speranze dei poveri per riconsegnare lo scettro ai potenti.
L’ex premier, che solitamente porta nel portafoglio un santino di Padre Pio (dice lui), è riuscito perfino a risvegliare il granitico torpore di Mattarella, dissolvendo così l’incantesimo del rospo sovranista e rivelando la magia del principe europeista che dimorava sotto la sua pelle squamosa, liberatosi della bava anfibia che lo rendeva mortifero.
Meravigliando tutti quanti, soprattutto chi lo riteneva un semplice trovatello, uno sconosciuto prof. della Libera Università Maria Santissima Assunta (università cattolica), il rospo si è tramutato in principe, anche perché lo specchio delle sue brame lo aveva mostrato in tutto il suo splendore, il più bello del reame del castello gialloverde, mentre si aggiustava il ciuffo ribelle (e tinto) e si rassettava l’elegante pochette bianca nel taschino.
Un semplice prof, un ignoto D’Artagnan, mai votato da nessuno, si aggira oggi nei palazzi del potere e tra le cancellerie di tutto il mondo, stringe le mani degli oligarchi europei, fa visita ad un Papa dal piglio ‘rivoluzionario’, che aveva probabilmente guardato con simpatia la nascita del nuovo governo, pregustando fin dall’inizio la possibilità di manovra dall’interno dell’esecutivo. La Cei infatti non aveva bocciato la neonata alleanza: “La sfida è il nuovo che avanza”, titolava il “Fatto Quotidiano” il 23 maggio.
Il parvenu della politica italiana, aveva inaugurato la guida di governo accettando la sfida di una missione epocale, “cambiare verso” all’Europa partendo dalla trincea italiana, invece sembra sia stata l’Europa a cambiare lui, data l’ultima giravolta europeista, degna di una girandola sferzata dal vento di tramontana.
La tragicommedia della crisi si è conclusa poi con il discorso del premier in Senato, un j’accuse moralistico, integralista e gesuitico, pronunciato con astio verso un membro del suo stesso governo ormai dimissionario. Una vera e propria paternale fuori luogo, che tirava in ballo anche simboli religiosi che il vituperato Capitano aveva usato in termini di propaganda politica, trascurando il fatto che lo stesso Conte aveva esibito un santino di Padre Pio durante una puntata di ‘Porta a Porta’.
Un predicozzo stonato insomma, perché pronunciato in un’aula parlamentare, tempio dello stato laico e non confessionale, sorto dal pensiero illuministico (Montesquieu, Rousseau, Voltaire), che dall’età dei lumi aveva sancito la nascita dello stato moderno, e che aveva da tempo decretato la dovuta separazione tra i due ambiti riguardanti il rapporto tra religione e politica, la politica intesa come dimensione pubblica e la religione intesa come dimensione privata. I veri motivi del pamphlet però erano ben altri, ma quelli sono rimasti esclusi dal dibattito parlamentare, che si è risolto invece in una catilinaria fuori luogo.
Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Una catilinaria di chiara memoria ciceroniana, manco Salvini fosse Catilina. Allo stesso modo però Giuseppe Conte ha difeso le sorti del sistema, come Cicerone difendeva quelle della classe senatoria, contro il tentativo sovversivo del ‘famigerato depravato’ di prendere il potere, attraverso una congiura cui probabilmente non furono estranei Crasso e Cesare, e che avrebbe dovuto realizzare riforme politico sociali più vicine ai populares, secondo quanto racconta Massimo Fini nel suo mirabile “Catilina. Ritratto di un uomo in rivolta”.
La bagarre parlamentare è stata spettacolarizzata come un talk show, e l’avvocato del popolo novello Cicerone ha pronunciato un’arringa di accuse cospicue nei confronti del Ministro dell’Interno, concludendo il proprio intervento con una lode all’Unione Europea, e un’accusa altrettanto palese verso il sovranismo.
Le sue parole sono state chiare: «Anche sull’Europa occorre un rinnovato slancio di responsabilità. Gli ideali che avevano nutrito le fasi iniziali del progetto di integrazione stanno via via perdendo la propria forza propulsiva e il comune edificio europeo sta attraversando una fase particolarmente critica. A questa crisi non si può certamente rispondere con un europeismo che in più occasioni ho definito fideistico, ma nemmeno si può opporre uno scetticismo disgregatore, volto a compromettere le conquiste raggiunte in sessant’anni, semmai invocando il ritorno a sovranità nazionali chiuse e conflittuali, con sterili ripiegamenti identitari. Occorre invece rilanciare, lavorare per rilanciare il progetto europeo, restituendo ad esso piena capacità attrattiva».
Scordatevi quindi il sovranismo ed ogni sorta di resistenza ai diktat europei, e dimenticate che l’Italia non ha tratto alcun giovamento da questa UE, che le ha imposto una moneta troppo forte per la sua economia, ingabbiandola in regole di bilancio ostinatamente rigide e costringendola alla più ostile subordinazione economica. Pazienza se il Paese ha perso il 25% della propria produzione industriale, ha visto distrutta la propria domanda interna, ha subito una forte emigrazione all’estero di migliaia di giovani italiani in cerca di lavoro.
Ma è tempo di voltafaccia in tutta la galassia degli androidi a 5 stelle, infatti se esisteva qualche affinità politica tra la Lega e il MoV era proprio quell’euroscetticismo di fondo che Grillo, Dibba &C avevano gridato nelle piazze per tanti anni, ora invece i due partiti sembrano aver preso strade diametralmente opposte, perché mentre la Lega è rimasta sempre critica, il MoV si è rivelato molto più sensibile verso le sirene europeiste, dopo lo scambio Sassoli/Castaldo al Parlamento Europeo, e dopo il salvataggio in extremis di Ursula Von der Leyen. Tant’è che negli ultimi tempi si è avvicinato a Renew Europe, il gruppo europeo che ha sostituito l’Alde e riunisce i partiti più europeisti del continente, compreso En Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron.
Quindi gli ‘onesti’ e ‘coerenti, che hanno condannato tutti gli altri partiti e in modo particolare la Lega di tradimento e mancanza di coerenza, hanno a loro volta tentato di entrare in tutti i gruppi europei a partire dal 2014, l’anno del loro primo sbarco a Bruxelles. Prima il tentativo di alleanza con i Verdi, poi a favore di un accordo con dell’euroscettico Ukip di Nigel Farage, poi nel 2017 il tentativo fallito di entrare nell’Alde di Guy Verhofstadt, poi di nuovo il ritorno da Farage, con le pive nel sacco.
Quest’anno visto che nessuno dei partiti con cui si erano alleati aveva guadagnato seggi all’Europarlamento, hanno iniziato un’odissea di trattative per trovare una sede ‘coerente’, provandoci con tutti, perfino con Gue-Ngl, in cui militano partiti di sinistra pura, di tradizione marxista come Podemos, Syriza e Die Linke. Ma i rettiliani del né né sono di gusti buoni, non fanno differenze tra destra e sinistra, gli sta bene tutto, purché ci sia un minimo d’interesse.
Ora, forse, l’alleanza con l’europeista di ferro Macron, che sta tifando per il prossimo governo giallo/rosso. Che dire, niente male per un partito che, nel 2017, chiedeva a più riprese un referendum per l’uscita dell’Italia dall’euro.
E infine dunque dopo il baciamano del Conte zio alla Merkel arriva l’abbraccio a Emmanuel Macron. “Condividiamo un continente: l’Europa. Una storia e dei valori comuni: quelli dell’Europa”. A scriverlo, su Twitter, è stato proprio il presidente francese, al termine del suo primo incontro con l’ex presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte al G7 di Biarritz.
Però… chi lo avrebbe mai detto?